DERMA







DIARIO D’OPERA







33 GIORNI ALLA PRIMA

 


I giorni sono infiniti quanto sfuggenti dalle mie mani.Li sento arrivare come meteore che mi attraversano il sonno e li guardo dissolversi lentamente, come gocce d'acqua che cadono da un blocco di ghiaccio.Il corpo inizia a desiderare l'atmosfera e il movimento. Sta sviluppando una simbiosi. Al punto che è doloroso non ballare, è difficile stare fermi o semplicemente pensare ad altro. Tutto, dal suono delle campane della chiesa fuori dalla finestra, al profumo rassicurante del caffè al mattino, al dolore della mente dopo una notte insonne, al gorgoglio inquieto dello scarico, letteralmente tutto ha a che fare con questo lavoro. Sembra che senza di esso nulla funzionerebbe. Come se l'intero equilibrio tra respiro e desiderio che ci tiene in piedi dipendesse da esso. In realtà non è così. È una proiezione, ne sono consapevole.Eppure, da qualche parte tra le vertebre e l'osso iliaco, tra le arterie e i polmoni spugnosi, desidero ardentemente provare ancora di più questa sensazione.La necessità che ne ha il mio corpo è il carburante di cui ho bisogno.Anestetizza la realtà. Uccide la sua banalità, imponendo la sua esistenza come fa un neonato con il suo pianto scandaloso.Evitare gli schermi è il compito più difficile. Ne ho bisogno per riprodurre musica, per filmare e correggere me stesso. Per acquistare oggetti di scena e controllare le e-mail, così come l'ora, un nemico eterno. Il regno digitale uccide gli istinti. Il corpo non ha spazio lì dentro. Solo una sua proiezione. Le proiezioni non ballano.




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32 GIORNI ALLA PRIMA




Ho dolore in tutto il corpo.
Dentro le ossa e la fascia, in tutte le fessure di questa carcassa, sento l'ossessione insinuarsi. Non c'è dolore nel ballare, ma nel vivere: nel dormire e allacciarmi le scarpe, nel fare la doccia o semplicemente nello scendere dal letto. È liberatorio.
Ed è memoria.
Solo nella danza il corpo riposa.
O è solo lì che vive? Spingendo con forza contro la prigionia delle ossa e della pelle, evitando la semplice mortalità del giorno, la materialità di un momento fugace. Una danza scolpita con cura nei meandri dell'anatomia.
Una danza ricordata.















31 GIORNI ALLA PRIMA



Oggi non c'era nulla da afferrare dalla mente.
Un cranio vuoto come quando siede in un laboratorio. Riuscivo quasi a sentire il rumore statico del riposo.
Ho raccolto l'eco dei miei pensieri, il loro brillante entusiasmo che svaniva, e me ne sono andato.
Mi sono sdraiato in modo che il mio gatto potesse sdraiarsi su di me, ho accuratamente filtrato i miei desideri per non trovare nulla ancora una volta.
La sera arriva presto in questi giorni.
Mi riposo.




















30 GIORNI ALLA PRIMA


La musica è un dittatore. Mi ribello contro di essa con tutte le mie forze. Soprattutto oggi. Ho passato cinque ore cercando di uccidere Mozart nel sonno. Quel tipo non molla mai. La brutalità e la mancanza di rispetto necessarie sono scandalose e divertenti. Ci vogliono tutti i 43 muscoli di questa maschera per reagire. Stare a casa per intere giornate può essere alienante, ma finisco per trovare uno spazio che è come un suono bianco, un limbo dell'esistenza in cui posso concentrarmi profondamente. Una placenta dell'anima, forse. Potrebbe anche essere semplicemente un'altra gabbia che mi sono costruito da solo.
Manca esattamente un mese alla prima e questo mi spaventa a morte in qualche modo. Penso che non sia il pubblico che temo, ma la perdita di questo tempo, la perdita dell'esclusività che questo lavoro ha rappresentato. È solo mio. Per la prima volta in assoluto, nessuno, nemmeno un altro ballerino, un musicista, un tecnico o un assistente, ha condiviso l'esperienza dal vivo di questo lavoro. Qualunque cosa sia. Qualunque cosa si provi. È in qualche modo come il cadavere nascosto nel cortile sul retro, lo scheletro nell'armadio, l'osso raro, che il cane ha nascosto con maestria e che non si troverà mai più.
Mi nascondo dal mondo mentre mi spoglio di me stesso.
È una sorta di tortura.
È una sorta di adulazione, un narcisismo.
La terapia di tale processo è nota solo a me, nessun altro avrà pietà per essa e questo è giusto. Direi addirittura che è necessario e non desidero altro che un pubblico spietato, pronto a uccidermi come io uccido sempre me stesso quando faccio questo. Voi distinguete forse l'arte dall'artista?
Vi sfido a provarci adesso.
Un mese per riuscirci.











29 GIORNI ALLA PRIMA




Il corpo è un mezzo. Come la pietra o il ferro, come l'argilla, la tela o la plastica. Cerco di superarlo, di combattere i limiti della mia anatomia, e ogni giorno mi spingo un po' oltre. È banale, semplice. Ma il corpo non è facile da domare. Ha un suo cervello, una sua anima vibrante. Oggi il mio corpo ha guidato l'atto creativo in meniera piuttosto drastica. Nel modo che capita raramente: con richieste oltraggiose, con energia pulsante infinita e bisogno - il bisogno è sempre una tragedia pura. Il corpo ha spinto e tirato fino a farmi male, ha ampliato la sua portata fino a rendere la stanza insufficiente e il mio cervello non è più stato in grado di seguirlo.
Che gioia.
Più della metà del lavoro è ormai fatto, e continua a crescere. Sono stupito dall'inaffidabilità del processo creativo. È incredibilmente straordinario come riesca a tenermi sempre con il fiato sospeso, senza mai farmi capire come procedere, allungando le mani nel buio e provando la soddisfazione finale di trovare qualcosa a cui aggrapparmi, tenerlo stretto, trovare una strada.
Grazie corpo per avermi chiesto di più.



















28 GIORNI ALLA PRIMA 



Lavoro con la memoria, quindi la metto in discussione. In realtà non mi fido di essa: mi riprendo sempre con la videocamera, temendo di dimenticare i passaggi, lo stato d'animo o i dettagli. Tengo traccia di tutto, anche la nota più inutile potrebbe diventare essenziale con una mentalità diversa, in un altro stato d'animo, e mentre lo faccio, mentre trascuro la fiducia in me stesso, mi rendo conto chiaramente che Rosalind Cartwright aveva ragione. La memoria è un atto creativo. Non esiste ricordare qualcosa senza contaminarlo con le emozioni provate allora e, in ultima analisi, con i sentimenti di oggi.
Quindi la memoria non è solo nostalgia. Probabilmente è anche come tenere uno specchio davanti alla persona che siamo oggi. Come reagisco a questo adesso? Che cosa rappresenta la mia reazione?
Posso affermare chiaramente: sono più crudele di quanto fossi allora.
Probabilmente è una cosa positiva e negativa allo stesso tempo. Tutto è sempre entrambe le cose. Eppure in questa crudeltà trovo anche dell'umorismo e questo mi piace. Posso farmi a pezzi e ridere mentre lo faccio. Sembra una crescita.
Forse?
















27 GIORNI ALLA PRIMA


Oggi è stata una giornata orribile. 
Sono stato retorico, immaturo, superficiale e dispersivo. Non avevo presa. Lo spazio sembrava infinito e minuscolo, inutile e rarefatto - impossibile ricevere alcuna risposta da esso. Anche nel mio corpo c’era un silenzio disarmante. 
Sono stato sordo per una giornata intera.
Dozzinale e apatico. 
Insulso.
Disprezzabile. 











26 GIORNI ALLA PRIMA



Sono alla ricerca della Sprezzatura. Anzi ne sono soggiogato. 
Rendere facile il difficile. È in realtà una regola della danza, una sua costante. Eppure sono ancora più attratto, estasiato dal rendere il semplice complesso. Vestirsi, spogliarsi, camminare, stare fermi, ripetere, incessantemente una stessa sequenza. 
Eliminare la retorica, eliminare la didascalia, rendere tutto antitesi e culmine, prologo ed epilogo in sé, domanda e risposta - definitiva affermazione e finale aperto dell’ora, del qui; la sua manifestazione. 
Inseguo, da oggi, la sprezzatura del dolore, del trauma, e la volgare esposizione cruda della quotidianità, del conosciuto. 
Dimenticarmi come si cammina, mentre recito, con fierissima certezza, un teorema algebrico. 
Il paradosso della contemporaneità. 
Sappiamo tutto. Non sappiamo nulla. 















25 GIORNI ALLA PRIMA



Arriva sempre e sempre inaspettatamente, quell’attimo di folle exploit, di maniacale ed esponenziale dedizione. Non credo all’ispirazione. Non mi piace cedere a certi romanticismi. Preferisco pensare che sia semplicemente esasperazione. La giusta dose, in realtà, di menefreghismo e dipendenza. Non esisto senza questo istante eppure esso è futile, morirà, anzi, è già morto. Prima ancora che me ne accorgessi. Eccolo svanire.

Oggi quell’istante mi ha riportato in me. Dopo essermi congelato in una sala troppo grande per scaldarsi in fretta, mi sono tuffato nell’incendiaria follia di una danza frenetica e complessa. L’anima è estenuante.












24 GIORNI ALLA PRIMA


Mi sono svegliata con la notizia della morte di Ornella Vanoni. Ero incredibilmente sconvolto, come lo è un adolescente quando affronta la sua prima delusione. Ho lasciato che la sua musica, la sua voce, la sua inspiegabile forza tenerissima invadessero le mie orecchie per tutto il giorno.
Oggi ho anche incontrato una nuova stanza. Luminosa, calda e lontana, separata dalla vita che conosco. È stato un incontro docile e sereno, come era il giorno: luminoso e freddissimo, semplice e corto. 
Devo ancora addomesticare questo nuovo luogo alla mia energia, alla visione del lavoro. DERMA sarà così buio, così stretto, che tutta questa luce sembra volerlo uccidere, umiliarlo. Forse è una crudeltà necessaria per eviscerarne l’idealizzazione. Accendere un neon sullo squarcio di una vittima di guerra, avvicinare al corpo sottoposto ad autopsia una di quelle lampade che riscaldano i piatti di un ristorante. Il paradosso spesso produce emozione. 
È tutto carburante in più. 












23 GIORNI ALLA PRIMA




Oggi mi riposo.
Oggi non voglio essere un coreografo. Né un performer.
Non voglio identificarmi con il lavoro, con il mio impegno, con la ricerca.
Oggi voglio solo essere umano.
Dimenticare il mio nome.
Dimenticare il mio patrimonio culturale, il mio background, le mie origini.
Oggi voglio solo essere vivo.
Semplicemente.
Grottescamente.
Vagamente.
Assurdamente e senza scusarmi.
Vivo. 

22 GIORNI ALLA PRIMA


Because the past tense is always longer*
Because time is a mother*
Because this body is my last address*  
Because time is a motherfucker*
Because the past tense is always longer*
Because time is a mother*
Because this body is my last address*  
Because time is a motherfucker*
Because the past tense is always longer*
Because time is a mother*
Because this body is my last address*  
Because time is a motherfucker*
Because the past tense is always longer*
Because time is a mother*
Because this body is my last address*  
Because time is a motherfucker*
Because the past tense is always longer*
Because time is a mother*
Because this body is my last address*  
Becuase time is a motherfucker*
Because the past tense is always longer*
Because time is a mother*
Because this body is my last address*  
Because time is a motherfucker*

*Ocean Vuong











21 GIORNI ALLA PRIMA




Analizzandolo, noto una linearità, un certo approccio narrativo e un'interazione logica tra le scene. Devo distruggerlo. Lo taglierò a pezzi e lo ricostruirò da capo. Come un collage del subconscio. Lo darò in pasto alla violenza del ricordo: mai lineare, mai ripercorribile se non a fatica, arrancando, avvicinando giorni a persone, odori a stagioni, sensazioni indescrivibili ad azioni precise, attimi concreti e già svaniti. Non voglio che il pubblico possa tornare a casa e ripercorrere nella sua mente la trama della performance. Non voglio che sia banalmente comprensibile. Che parola orrenda. 
L’arte deve scavare un marchio indelebile nella mente. Anzi più a fondo. 
L’arte è la marchiatura a fuoco dell’anima. 
Strumento universale per calcolare il passare del tempo. 
Esiste un prima e un dopo La Gioconda, un prima e dopo Guernica, un prima e dopo L’urlo di Munch, un prima e un dopo Requiem di Mozart, un prima e un dopo Stravinsky. 
È egocentrico paragonarsi a tutto ciò. 
Eppure per scalare la montagna bisogna osservare la vetta, altrimenti si rimane dov’è. 












20 GIORNI ALLA PRIMA


Ricordo troppo poco per dire di avere buona memoria. Almeno della mia infanzia mi rimangono solo pochi e disparati attimi come gli ultimi coriandoli al suolo, impossibili da aspirare. Istanti fugaci e prettamente inutili. Ricordo invece chiaramente come mi sentissi in una situazione o in un’altra e spesso, so piombare, inspiegabilmente, in quello stato d’animo. Senza che esso abbia alcuna connessione col presente. È come precipitare, immediatamente. Come la prima fitta del mal di testa, come accorgersi di essere insonne: lo si era da tempo, eppure, di colpo, lo si è del tutto. 
Al momento rincorro vari di questi stati. Miriadi di sensazioni compresse nella durata di appena trenta minuti. Una bomba praticamente. Almeno per me sarà come infliggersi una pena capitale, come flagellarsi in piazza. 
Allora dov’è il senso del farlo? Dov’è il piacere? Dov’è il significato ultimo e centrale, il vero motivo per cui valga la pena costringere un pubblico a vedere questo exposé di narcisismo? 
Rincorro le sensazioni e non gli accadimenti. 
Non la storia ma la sua origine e la sua fine. 
Il mio corpo è il tramite e lo sviluppo. 
Rincorro l’universale desiderio di fare i conti con il passato che oggi più che mai rincorre noi, mostrandoci, ad ogni angolo, il suo grigno furiosamente storpiato. Sogghigna, ritorna, come la moda, anche il delirio, l’oppressione. 





19 GIORNI ALLA PRIMA


dèrma

s. m.
[dal gr. δέρμα -ατος «pelle»]

(pl. -i, raro). – In anatomia, lo strato profondo della pelle o cute dei vertebrati, costituito per la maggior parte da fasci di tessuto connettivo variamente intrecciati e fibre elastiche, ricco di vasi, nervi, fibre muscolari lisce, ecc.; ha spessore molto variabile nelle diverse classi, e presenta caratteristici rilievi o papille sporgenti verso l’epidermide, mentre nello strato più interno (tonaca del derma) si approfondano i follicoli piliferi e le ghiandole sudorifere e sebacee.*

*Dizionario Treccani



18 GIORNI ALLA PRIMA

Sta succedendo qualcosa che non mi era mai capitato prima. Il lavoro, in qualche modo, è sia finito che infinito. Ad oggi, ho elaborato l'intera drammaturgia, il flusso delle scene: l'ho sezionato e ricomposto - proprio come il Frankenstein di Guillermo del Toro - e l'ho trasformato in un nuovo essere vivente crudo e articolato. Lo sento lentamente sfuggire al mio controllo, sviluppare una coscienza propria, fare delle scelte. Evolversi.
Allo stesso tempo, mi sembra completamente incompiuto, impreparato, come una scatola di fiammiferi riscaldata ma mai accesa - e mi sembra di illudermi pensando che sia finito: insomma, guardalo!, è lì!, questo va lì e quello va qui, mi sposto là e poi vengo qui per questo, a quell'accento questo, a quel silenzio quello, questo, quello, questo, quello.
La danza non è niente.
Probabilmente è per questo che mi sento così.
La danza non esiste.
Lascio lo studio esausto e torno il giorno dopo per non trovare nulla.
Il lavoro sono io. Dentro di me ci sono i passi e l'intenzione, la motivazione che sta dietro e il giudice finale, il boia senza paura, pronto a tagliare questo, uccidere quello, questo, quello.
Quindi alla fine sto scolpendo la mia pelle - al contrario del Frankenstein di Guillermo del Toro - sono io la mia stessa “creatura”.
Non avevo mai fatto una cosa del genere prima d'ora. Un intervento a cuore aperto su me stesso.
Che emozione.



17 GIORNI ALLA PRIMA


Oggi ho messo in questione una parte fondamentale del finale. Questo processo, così viscerale e stratifico, si sta dimostrando fortemente educativo. Sono costantemente pronto a sfaldare e ricucire, a sfatare il mito per eleggere un nuovo idolo. Il giudizio degli altri mi sovrasta ancora. Non è tanto il pubblico di cui ho paura, quanto chi mi sta accanto, chi amo e chi mi è più vicino. Vivo nel terrore di deluderli. Ma ancora più temibile sono io stesso. Il boia prediletto da me stesso. Eccomi. Confesso. Per fortuna arriva sempre, come un fulmine a ciel sereno, qualche frase che porta ad un’apertura, che trafigge la crosta di forma e construtto - non solo per far uscire il sangue ma per entrare la luce, per dare conforto. (Quanto masochismo in queste pagine, quanto vittimismo. Non voglio curare la fonte di queste patologie. Faccio l’artista per qualcosa. La mia instabilità mi serve.) Dicevo che queste frasi aiutano sempre, a mettere in prospettiva il lavoro e ricordarmi che alla fine non ha importanza. 
C’è chi soffre a queste frasi, io invece mi libero, come una farfalla monarca mi tuffo nel mio percorso insensato ma coerente a me stesso.
Atterrare o schiantarsi, l’importante è essere partiti. 
Quindi sono tornato all’inizio, alla partenza e al motivo. Mi sono accorto di quanto io sia cresciuto, di quanto il lavoro si sia evoluto. Non è un virtuosismo, ma una parte necessaria della creazione secondo me. Vedo